Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo incremento in ambito clinico degli
studi, delle ricerche e delle attività scientifiche sul tema dei DSA. Consultando la bibliografia in
argomento, si rileva infatti una quantità preponderante di pubblicazioni nei settori della clinica e
delle neuroscienze, rispetto a quelli pedagogico-didattici. In tempi più recenti, anche per le
dimensioni che ha assunto il fenomeno nelle nostre scuole, oltre che per l’attenzione determinata
dagli interventi legislativi in materia, si è manifestato un sempre maggiore interesse per la messa a
punto e l’aggiornamento di metodologie didattiche a favore dei bambini con DSA.
Sulla base di una impostazione tuttora ritenuta valida, la didattica trae orientamento da
considerazioni di carattere psicopedagogico. A tale riguardo, può essere utile far riferimento a testi
redatti nell’ambito di studi e ricerche che si concentrano sul comportamento manifesto, sulla
fenomenologia dei DSA, senza tralasciare di indagare e di interpretare i modi interiori
dell’esperienza. In tale ambito, si cerca di indagare il mondo del bambino dislessico secondo la sua
prospettiva, non come osservatori esterni. Si porta il lettore attraverso vari esempi a comprendere
come il bambino dislessico non riesce a mettersi da un punto di vista unitario, ciò che provoca una
corsa ai punti di riferimento, poiché ad ogni movimento verso il mondo sorge spontaneamente un
doppio significato. Un esempio è quello del turista che si trova in Inghilterra dove vi è un sistema di
guida diverso e dove si fa fatica a guadagnare nuovi punti di riferimento. E vi è l’esempio di un
Paese ancora più insolito dove la barriera del linguaggio è raddoppiata da quella dei significati.
Immaginiamo di trovarci in un posto con una lingua totalmente diversa o che non riusciamo a ben
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comprendere: sentiamo sorgere un senso di profondo disagio perché manca “una comunicazione
completa, reale, intima”. Ma riusciamo a tranquillizzarci perché il nostro soggiorno avrà termine e,
con il rientro a casa, potremo tornare ad esprimerci, a parlare in rapporto allo stesso quadro di
riferimento, a trovare uno scambio vero, uno scambio pieno. Pensiamo invece al disagio di questi
bambini che non possono tornare a casa, in un mondo dove devono rincorrere punti di
riferimento…che rimangono stranieri, soprattutto se noi siamo per loro stranieri, chiudendoci
nell’incomprensione.
Da tali indicazioni si può prendere spunto per trarre orientamento nella prassi pedagogicodidattica.
Gli insegnanti possono “riappropriarsi” di competenze educativo-didattiche anche
nell’ambito dei DSA, laddove lo spostamento del baricentro in ambito clinico aveva invece portato
sempre più a delegare a specialisti esterni funzioni proprie della professione docente o a mutuare la
propria attività sul modello degli interventi specialistici, sulla base della consapevolezza della
complessità del problema e delle sue implicazioni neurobiologiche.
Ora, la complessità del problema rimane attuale e la validità di un apporto specialistico,
ovvero di interventi diagnostici e terapeutici attuati da psicologi, logopedisti e neuropsichiatri in
sinergia con il personale della scuola non può che essere confermata; tuttavia – anche in
considerazione della presenza sempre più massiccia di alunni con DSA nelle classi – diviene
sempre più necessario fare appello alle competenze psicopedagogiche dei docenti ‘curricolari’ per
affrontare il problema, che non può più essere delegato
È appena il caso di ricordare che nel profilo professionale del docente sono ricomprese, oltre
alle competenze disciplinari, anche competenze psicopedagogiche (
strumenti metodologici per interventi di carattere didattico fanno parte, infatti, dello “strumentario”
di base che è patrimonio di conoscenza e di abilità di ciascun docente. Tuttavia, è pur vero che la
competenza psicopedagogica, in tal caso, deve poter essere aggiornata e approfondita.
È per questo che il MIUR già da anni promuove azioni di formazione sul territorio e, da
ultimo, ha sottoscritto un accordo quadro per l’alta formazione in ambito universitario sul tema dei
DSA (si veda il paragrafo 7, sulla formazione). Si tratta di percorsi comuni per quanto riguarda
l’approccio psicopedagogico, ma differenziati rispetto agli ordini e gradi di scuola. Vi sono infatti
peculiarità dell’azione didattica che vanno attentamente considerate.
In tal senso, la Scuola dell’Infanzia svolge un ruolo di assoluta importanza sia a livello
preventivo, sia nella promozione e nell’avvio di un corretto e armonioso sviluppo – del miglior
sviluppo possibile - del bambino in tutto il percorso scolare, e non solo. Occorre tuttavia porre
attenzione a non precorrere le tappe nell’insegnamento della letto-scrittura, anche sulla scia di
dinamiche innestate in ambiente familiare o indotte dall’uso di strumenti multimediali. La Scuola
dell’Infanzia, infatti, “esclude impostazioni scolasticistiche che tendono a precocizzare gli
apprendimenti formali”
succeduti negli ultimi decenni, la Scuola dell’Infanzia ha il compito di “rafforzare l’identità
personale, l’autonomia e le competenze dei bambini”, promuovendo la “maturazione dell’identità
personale,… in una prospettiva che ne integri tutti gli aspetti (biologici, psichici, motori,
intellettuali, sociali, morali e religiosi)”, mirando a consolidare “le capacità sensoriali, percettive,
motorie, sociali, linguistiche ed intellettive del bambino”.
Come è noto, la diagnosi di DSA può essere formulata con certezza alla fine della seconda
classe della scuola primaria. Dunque, il disturbo di apprendimento è conclamato quando già il
bambino ha superato il periodo di insegnamento della letto-scrittura e dei primi elementi del
calcolo. Ma è questo il periodo cruciale e più delicato tanto per il dislessico, che per il disgrafico, il
disortografico e il discalculico.
Se, ad esempio, in quella classe si è fatto ricorso a metodologie non adeguate, senza prestare
la giusta attenzione alle esigenze formative ed alle ‘fragilità’ di alcuni alunni, avremo non soltanto
perduto un’occasione preziosa per far sviluppare le migliori potenzialità di quel bambino, ma forse
avremo anche minato seriamente il suo percorso formativo.